La cantina degli hobbit

I paesi incantati hanno dei tratti che li delineano perfettamente.

Siano reali, o di fantasia, fiabeschi, romantici o avventurosi; ci vengano descritti nei film, o giungano da pagine scritte con calligrafie dal sapore epico…ognuno di loro ha una magia unica eppure ha caratteristiche che si ritrovano, sempre uguali: sono scomodi, non agevoli, non di passaggio; e sono ostici, difficili da raggiungere, non immediati.

E per questo sono sempre fantastici. E unici.

La piccola frazione di Tappia, che si vede da Domodossola alzando il naso al cielo, è un piccolo borgo, un borgo minuscolo, un fazzoletto di paradiso.

Ha un pugno di case ordinate, tipiche di qua, pietra e legno, e tetti in losa. Le case sono silenziose. Le persone, straordinarie. Non sono comuni, hanno qualcosa che conquista all’istante.

Corrado sorride subito; è svelto, pratico, abituato a non stare fermo.

Lavora in fabbrica, e fa il vino, mentre insieme a sua moglie gestisce il ristorante e l’agriturismo di famiglia.

Ci accompagna subito in cantina, e in un attimo percepiamo la sua grande volontà, il suo instancabile impegno, mosso da grande semplicità e dall’onesta consapevolezza del proprio cammino.

La decisione che nel 2005 portò lui e suo padre Romano a “metter giù la vigna” da scommessa iniziale si è rivelata vincente, perché è stato un segno reale e tangibile, segno della volontà di riportare in Val d’Ossola la viticoltura, dismessa e abbandonata ormai da mezzo secolo.

Grande impegno, grande volontà, grandi sacrifici. E nel racconto, ancora, grandi sorrisi; la semplice soddisfazione di lavorare bene, per la propria famiglia, ma soprattutto per la gratificazione che dà l’idea di aver trovato di nuovo la prova di quanto questo territorio e il vino abbiamo un legame indissolubile, radicato. Un valore aggiunto inestimabile.

Due i compagni fidati di questo straordinario viaggio che parte dal paese incantato e arriva lontano: il Nebbiolo (qui Prunent) che si chiama Ul cantun, dal nome del luogo dove si trova il vigneto; e il Merlot, da vigneti sistemati a Tappia, Quartero e Crosiggia, a cui si è dato il nome Barbarossa, in ricordo e per onorare il nonno partigiano.

In più, un’altra scommessa (come quella che ha dato il via alla viticoltura della famiglia): un bianco, vitigno Chardonnay, pronto all’esame nel 2016.

Lasciamo Corrado a fine mattinata, e dopo aver goduto della vista che dal terrazzo di Tappia guarda in giù, ripensiamo a quello che serve per affrontare i giorni e le sfide: impegno, disponibilità, lavoro.

Densa la storia che i muri di Tappia raccontano: un borgo che dall’alto guarda il progresso industriale ed è orgoglioso di aver tenuto fede alle sue origini contadine; un occhio che posa lo sguardo sui piccoli viandanti, e cerca di capire da lassù chi avrà fiato e cuore per raggiungerlo, e poter salire in paradiso.

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