Il vino è una cosa seria: parola di clown

Le porte ci sbarrano la strada. Impediscono alla vista, e alla curiosità, di scoprire cosa c’è al di là: può essere un nuovo mondo, un imprevisto, una sorpresa, una conferma. Eppure, finché non apriamo la porta, non sappiamo dare al cuore un posto dove collocare quella stanza.

La porta che apriamo per entrare qui, ha una particolarità: un piccolo meccanismo, che tramite una cordicella sospesa, ha ben calibrato il raggio di apertura della porta stessa, e porta il peso di una bottiglia vuota.

Eccolo, il senso di quello che ritroviamo in Valerio, e in suo figlio Daniele: l’esercizio all’equilibrio. Non nel senso di corpo immobile, ma nell’impegno di riuscire a mantenere una stabilità e una coerenza di intenti e azioni, nonostante le influenze che arrivano dall’esterno.

Perché nella vita, si sa, sono tutti consiglieri, allenatori, direttori dei lavori, capi, esperti…e il difficile è mantenere una propria linea di visione, e stare in piedi, senza spostare le proprie radici, lasciandole salde e ancorate al terreno.

Chi tenta di insinuare l’invidia, qui ha in cambio un sorriso. Chi si sente un gradino più in su e tenta di farlo pesare, ha in risposta un educato distacco. Chi cerca di mettere zizzania tra chi invece vuole collaborare e unire gli intenti per dare risalto ad territorio spesso dimenticato, deve fare i conti con il silenzio di chi è impegnato a lavorare, e non ha tempo di star lì a perderlo, il tempo.

Perché il mestiere del vino è una cosa seria, e come dice Valerio “non è come  il panettiere che se sbaglia, il giorno dopo rimedia. Qui si esce una volta all’anno”. Eccola, la disarmante semplicità di quest’uomo. Onesto, sguardo fiero, cosciente dello sforzo, del lavoro, delle ore di sonno perse per i sagrin (le preoccupazioni) che sente, nonostante l’esperienza.

Sa riconoscere quelle pressioni esterne; sa affrontarle, con la schiena dritta di chi conta su di sé, sulle proprie convinzioni, sulla strada del lavoro, e delle porte aperte agli altri.

Gli altri sono quelli che sanno che Le Marie sono sempre aperte, c’è sempre qualcuno. C’è sempre un tavolo che in un attimo si imbandisce; i bicchieri che compaiono, le bottiglie che si aprono.

Si parte dal Blanc de Lissart, espressione vinificata della Malvasia moscata: piacevole nota aromatica che ne fa un gioiello prezioso, già diventato orgoglio della gamma. Ed è uno straordinario biglietto da visita per introdurre i vicini di vasca: il Dolcetto, la Barbera Colombe, la Bonarda, il Nebbiolo (che qui diventa Debarges) e il Pinot nero.

Lo stesso equilibrio di Valerio che racconta il lavoro, lo si ritrova nel giudizio dei propri vini: anche qui equilibrista, sempre in bilico tra quello che il mercato chiede, quello che lui crede fermamente, quello che gli consigliano di fare o non fare, quello che deve trasformare l’impegno e il sacrificio nella pagnotta da mettere su quel tavolo imbandito per tutti.

Tante idee, tante prospettive, molti tentativi per costruire qualcosa che porti con sé la forza del suo territorio e un vino che possa diventare sua tipica espressione; tutto sotto il segno di un uomo che ha creduto e crede ancora che l’impegno e il lavoro fatto bene dipingano un sorriso soddisfatto sul volto.

E nelle infinite stanze di questo angolo di Barge, se incontriamo una porta chiusa, è solo perché chi ha avuto coraggio di entrare, possa stare più caldo.

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